Arturo Martini
PITTORI
Pisana ( Italiano )
Posizione nel museo
PRIMO PIANO
Adagiato su un telo di forma ellittica, che ne circonda il volume, il corpo femminile appare profondamente addormentato: la nudità lo colloca in una dimensione senza tempo e, al tempo stesso, esprime una sensualità naturale, esaltata dall’apparente spontaneità della posa. La sperimentazione degli anni giovanili, giunta alle soglie dell'iconoclastia futurista, lascia il posto, nel primo dopoguerra, al recupero della forma: l’artista aderisce infatti al clima del “ritorno all’ordine” sostenuto dalla rivista “Valori plastici” e dal gruppo di Novecento, che frequenta presso il salotto di Margherita Sarfatti. Nella seconda metà degli anni Venti la riflessione sui modelli antichi (romani ed etruschi in particolare) lo conduce ad operare un inedito connubio tra antico e moderno: tra il 1928 e il 1929 opere come la Pisana e il Bevitore segnano un’ulteriore svolta nella sua ricerca, che rende vitali i solidi volumi della tradizione portando al massimo grado la tensione espressiva dei soggetti. La storia del Paese, dal Risorgimento all’Unità d’Italia, è direttamente richiamata dall’identificazione della figura con la Pisana, eroina delle Confessioni di un italiano di Ippolito Nievo. Alla riscoperta del romanzo storico stavano contribuendo in modo determinante gli amici e collezionisti trevigiani Maria Calzavara e Natale Mazzolà, sostenuti da Giovanni Comisso e Gino Scarpa, che nella casa di Milano ospitano un circolo di lettori di Ippolito Nievo. Negli stessi anni Martini sviluppa l’idea di un monumento funebre dedicato al giovane scrittore prematuramente scomparso, che poi distrugge. Il ritratto della protagonista, tuttavia, è privo di riferimenti storici e letterari: la semplicità della figura e dell’ambientazione, la superficie levigata del corpo, l’immobilità silenziosa in cui è immersa evocano piuttosto un’idea di femminilità e di erotismo inconsapevole che si associano al tema - ricorrente nella produzione martiniana - delle figure dormienti (come in Donna al sole del 1930 e ancora Il sonno del 1933). “Donne di carne, come la Pisana”, scrive nei Colloqui, “ti senti nell’infinito, in certi sogni”. Plasmata in creta a Roma, nello studio di Villa Strohl Fern, nel 1928, l’opera ha un’immediata fortuna: il modello in gesso che l’artista porta con sé a Monza (dove insegna per un anno presso l’I.S.I.A.) è oggetto di ulteriori riprese e ripensamenti, anche in chiave di “frammento”. L’opera conservata presso il Museo Bailo è il primo dei due bronzi fusi a Milano dal modello in gesso, autografato dall’artista nel 1930. Acquistata dai coniugi Mazzolà, verrà donata ai Musei Civici trevigiani nel 1967.
https://bailo.museicivicitreviso.it/documents/d/guest/document_pisana_caa_artworkdocument_11

Volto Pisana
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